A Milano, in un quartiere popolare, venerdì 10 giugno è scoppiata una grande rissa, che qualcuno ha chiamato addirittura guerriglia. Decine di persone si sono scontrate con mazze, spranghe, coltelli, bombe carta e un bambino di due anni è finito in ospedale. Una classica guerra tra poveri, come vengono definiti scontri di questo genere che, nel dettaglio, è raccontato qui.
A fronte di fatti simili, che avvengono nelle nostre città, che possono coinvolgerci direttamente, se non è già successo, come si fa a preoccuparsi per l’aumento di un paio di gradi della temperatura? E se allarghiamo lo sguardo, vediamo che nel territorio europeo c’è la guerra, che pensavamo di non vedere più, dopo i massacri degli anni Novanta nella ex Iugoslavia. Di nuovo: mentre accadono cose del genere, come si fa a parlare di livello del mare che cresce?
Un grande problema del cambiamento climatico è che non riusciamo a percepirlo come uno dei problemi più importanti da affrontare. Razionalmente magari sì, magari ci riusciamo: ragioniamo sugli stravolgimenti che causa e comprendiamo che si tratta di un guaio grosso. Ma al momento di agire, siamo bloccati e ci rivolgiamo ad altre priorità, più o meno private.
Hanno buon gioco, alcune personalità politiche, a chiedere di ‘ammorbidire’ gli obiettivi climatici. C’è la crisi, i prezzi dell’energia salgono moltissimo mettendo in difficoltà famiglie e imprese. Ci sono oggi, adesso, questi guai e allora che senso ha, dicono queste personalità, continuare a perseguire obiettivi al 2030 o anche più avanti?
Naturalmente penso che questo modo di ragionare sia profondamente sbagliato, non foss’altro perché guerra e prezzo dell’energia sono profondamente connesse alla crisi climatica. Ma lo capisco, questo modo di ragionare: ci fa prendere atto che il cambiamento climatico non è un problema in sé. Piuttosto, è la causa di tanti problemi e noi esseri umani, siamo abituati ad affrontare gli effetti dei problemi, a tamponare le falle, a mettere le pezze.
Con le cause dei problemi, sinora, ce la siamo cavata sempre piuttosto male.
Lavorare per la transizione ecologica significa avere ben presente questa situazione. Non possiamo dare per scontato che il cambiamento climatico venga percepito come un’urgenza, salvo quando accadono cose eclatanti, ma davvero molto eclatanti (provo a parlarne la settimana prossima).
Ed è davvero una bella sfida, su cui proviamo a ragionare con delle specie di editoriali come questo e con il progetto Non devo dirtelo così, che parte domani 15 giugno proviamo a ragionare sulle cose che è meglio non dire, quando si cerca di comunicare sulla crisi climatica. Lo facciamo con semplici grafiche e poco testo, nella consapevolezza che possiamo non avere ragione ma, d’altra parte, non sappiamo bene come dirlo.
Daniele Scaglione