«Oggi, alla lezione di scienze, mia figlia ha detto ‘il cambiamento climatico è tutta una montatura’. È davvero figlia di suo padre!»
Lo scrive, orgoglioso, un signore su un social, qualche giorno fa. Il suo messaggio riceve qualche dissenso ma anche parecchi complimenti. L’apprezzamento più ricorrente è più o meno questo «si vede che la ragazza ragiona con la sua testa!» (cosa che suscita nel genitore parecchia soddisfazione).
Guardando il profilo del signore che ha postato questo messaggio, però, si scopre una coincidenza. L’uomo ha scritto un gran numero di messaggi in cui ribadisce questo pensiero: il cambiamento climatico non esiste. Siamo dunque sicuri che la giovane abbia ragionato con la propria testa? Non è che ha semplicemente ripetuto una ferma convinzione del suo genitore?
Il primo obiettivo, per chi insegna
Questa vicenda mi ha fatto venire in mente una cosa che disse il mio professore di didattica della Fisica, il primo giorno di lezione del suo corso: «se alla fine dell’anno i vostri studenti non odieranno la fisica e la matematica, potrete dire di aver fatto un buon lavoro». Non era una battuta o sì, forse lo era, ma aveva un messaggio preciso:
il vostro primo obiettivo dev’essere quello di non fare danni.
In realtà alla frase del mio professore ho ripensato anche poco tempo fa, quando la didattica a distanza imperversava e le e gli insegnanti cercavano di salvare il salvabile. Ma non voglio divagare ed esplicito il collegamento con il messaggio del padre che ho citato in apertura: infilare nella testa dei propri figli l’idea che il cambiamento climatico sia tutta una montatura, significa fare danni.
Ma ha senso puntare il dito contro questo genitore? Ok, un pochino di senso ce l’ha, ma forse è più utile chiedersi quale formazione dovremmo provare a proporre. Forse nulla, ma proprio nulla, dovrebbe essere presentato come un dogma, come un assioma. Magari in campo etico un assoluto ci può stare, ma mi fermerei al ‘non fare del male a te stesso e a nessuno’ (e anche in questo caso meglio far comprendere che ‘non fare del male’ conviene, aiuta a costruire un modo più sicuro per tuttə).
Comunicare, cioè far ragionare
Per il resto, tutto può e deve essere discusso e la scienza del clima non fa eccezione. Il che non vuol dire che c’è la libertà di dire qualsiasi cosa, ma che possiamo e usare il senso critico su ogni questione. Solo che ci vogliono gli strumenti, per farlo.
Nel caso del comunicare la crisi climatica e la transizione ecologica necessaria per affrontarla, come funziona? Da un lato c’è l’esigenza di essere veloci, netti, perché di tempo per frenare la crisi climatica non ne abbiamo moltissimo. Dobbiamo dire cosa fare e cosa no.
Dall’altro lato, però, bisogna coinvolgere le persone nel cambiamento necessario. Si devono dare strumenti che aiutino a ragionare con la propria testa. È inevitabile: la transizione ecologica è un processo profondo, diffuso, che richiede la partecipazione del maggior numero di persone possibile.
Non si può comunicare a colpi di ‘questo sì, quell’altro no, questo giusto, quell’altro sbagliato’.
Le persone devono avere gli elementi per sentirsi partecipi, per giocare un ruolo che non sia solo quello di megafono, anche quando amplificano cose corrette e sensate. Il cambiamento di cui c’è bisogno dev’essere il più consapevole possibile. Insomma, dobbiamo comunicare per far ragionare.