Se avessi il superpotere di spiegare benissimo, in modo comprensibile a chiunque, un argomento complesso legato alla crisi climatica, da quale argomento inizierei? La risposta l’ho avuta qualche giorno fa, leggendo la storia di Tuvalu, uno stato dell’Oceano Pacifico distribuito su una decina di atolli su cui vivono undicimila persone. Tuvalu scomparirà dal pianeta, per via dell’innalzamento di oceani e mari (a sua volta dovuto alla crisi climatica, ma non serve ripeterlo ogni volta, vero?). E l’Australia, a certe condizioni, descritte in questo articolo su LifeGate, accoglierà le famiglie di Tuvalu.
L’argomento per cui vorrei avere il super potere di cui sopra (saprei anche come chiamarmi: Supercomms. Originale, vero?) è la migrazione.
Per almeno due motivi: primo, le persone che dovranno abbandonare le proprie terre, a causa del cambiamento climatico, saranno molte di più di quelle di Tuvalu, molte di più di quelle che lo stanno facendo in questo periodo per altri motivi.
Secondo, perché noi che viviamo in Europa – e anche in nord America – di fronte ai movimenti migratori perdiamo la testa (con questo intendo, ad esempio, che investiamo tempo e risorse su soluzioni che soluzioni non sono, da nessun punto di vista, com’è il caso dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio).
E invece abbiamo bisogno di essere lucidi, a cominciare dal modo con cui ne parliamo, delle migrazioni. Prima di tutto, sarebbe forse meglio usare la parola ‘migrazioni’. ‘Immigrazione’ è troppo centrato su di noi, sul nostro mondo che è ‘investito’ da un fenomeno esterno. Ma è una prospettiva limitata, che non ci consente di vedere il quadro generale (ad esempio, a noi italiani impedisce di vedere tanti nostri concittadini che vanno all’estero a cercare migliori opportunità).
Poi dobbiamo smetterla di pensare alle migrazioni solo come fenomeni che nascono da paesi più svantaggiati, poveri. Tantissime persone che vivono in Italia, nei prossimi decenni, dovranno abbandonare le loro terre d’origine, ad esempio dalle parti del litorale Adriatico, nei pressi del delta del Po.
Dobbiamo spiegare che arrestare il cambiamento climatico serve anche a questo, a fermare la crescita del numero di persone costrette ad abbandonare le proprie terre. Ma anche interrompessimo in questo istante la crescita dei gas serra in atmosfera è inevitabile che un numero enorme di persone, da tante parti del mondo, abbandonerà la propria terra.
Quindi, un’altra cosa che dovremmo smettere di fare, quando parliamo di migrazione, è dare l’idea che il fenomeno si possa arginare che, in qualche modo, si possano tenere gli ‘immigrati’ – in questo caso la uso a proposito – fuori. Perché non sarà possibile farlo, perché saranno davvero troppe persone.
Cominciare a raccontare per bene uno dei problemi principali della crisi climatica non significa risolverlo. Ma è un indispensabile inizio.
Daniele Scaglione