Potrebbe essere Gerusalemme o potrebbe essere il Cairo
Potrebbe essere Berlino o potrebbe essere Praga
Inizia così Home, canzone di Roger Waters del 1987, contenuta nell’album Radio Kaos. L’elenco di cose che ‘potrebbero essere’ è lungo e poi, nel ritornello, Waters recita: «tutti hanno qualcosa che chiamano casa». Mi è venuta in mente questa canzone – soprattutto il ritornello – all’indomani dell’approvazione della direttiva sulle cosiddette ‘case green’. Il nome preciso di questa cosa è Energy Performance of Buildings Directive, che dà vita all’ennesimo acronimo, EPBD.
Cosa ci sia in questo provvedimento è spiegato da Il Sole 24 ore, qui mi limito a riassumerne la ratio. L’85% degli edifici dell’Unione Europea è stato costruito prima del 2000 e il 75% di questi edifici più che ventenni ha cattive ‘performance energetiche‘. Detta semplice, vivere e lavorare in questi edifici ci fa sprecare un sacco di energia. Il che si traduce in costi elevati ed emissioni di gas serra.
Considerato che, tra ristrutturazioni e interventi vari, mettiamo continuamente mano alle nostre case e considerato pure che la maggior parte degli edifici in cui vivremo e lavoreremo nel 20250 deve ancora essere costruita, la EPBD dice di ristrutturare e costruire in modo che gli edifici siano migliori, cioè rendendoli meno colabrodo e meno dipendenti da fonti di energia fossili.
Sembra tutto ragionevole e concreto, a cominciare dal fatto che chi vive in edifici costruiti a dovere risparmia parecchi soldi in bollette. Eppure le opposizioni alla EPBD non sono mancate: 370 voti favorevoli, 199 contrari 46 astenuti. Tra i contrari ci sono stati, in blocco, i partiti ora al governo in Italia. Non è una sorpresa: il governo italiano non nega il cambiamento climatico (beh, qualcuno un po’ sì) però di norma dice ‘no’ a qualsiasi azione per realizzare la transizione ecologica.
Ma su questo discorso della casa, forse, c’è ancora qualcos’altro.
Negli anni della scuola mi sono incasinato più volte, nella differenza tra house e home (non sono stato l’unico, vero?). Se house è l’edificio, home è qualcosa di più generale. Può anche essere «tua madre» o «tuo padre», può essere «un vigile del fuoco» o «un Turco», può essere «l’umiltà», può essere «l’orgoglio», canta sempre Roger Waters.
Il punto, forse, è questo. Se pensiamo alla casa come all’edificio in cui ci rintaniamo, alla house, ci dà fastidio che qualcuno ci venga a dire cosa ne dobbiamo fare. Come lo dobbiamo riscaldare, come dev’essere fatto il bagno, quali sono gli spazi destinati a una cosa o all’altra. Siamo molto insofferenti, noi italiani, a queste cose, tant’è che molti di noi costruiscono fuori dalle regole, tanto poi arriva un condono e si sistema tutto.
Forse dobbiamo pensare di più alla ‘home‘. La home è sì dove dormiamo e mangiamo e giochiamo ma anche dove viviamo le nostre emozioni, dove stiamo con le persone a cui teniamo di più. Quindi non può essere solo quel posto per cui paghiamo il mutuo, l’affitto o comunque abbiamo speso un sacco di soldi.
La home è anche il quartiere, la città, sono gli spostamenti che facciamo da un luogo all’altro. Se riusciamo a vedere le cose in questa prospettiva forse accoglieremo decisamente meglio la EPBD (salvo maledire questa dannata propensione a creare ogni due per tre un nuovo acronimo).